Mindfuldance® – L’ultimo Saggio Un percorso Umano 12 Aprile 2022 – Pubblicato in: Blog

Ma il corpo possiede un’intelligenza
i cui misteri la mente
deve ancora scoprire.

Anodea Judith

Mindfuldance ® è una proposta metodologica pensata per tutti gli ambiti di formazione artistica in generale e coreutica in particolare. È una creatura che nasce dalla mia esperienza personale e che prende le mosse da una riflessione: come mai tutte le arti che si occupano del corpo tengono poco in considerazione che avere a che fare con il corpo equivale a parlare di emozioni, mente, attitudine, storia, radici, passato, energia, pensiero? Dividere, spezzettare, assolutizzare, confinare, separare crea un vuoto di fondo e una frustrazione imponente, poiché ci identifichiamo con ciò che facciamo e non con ciò che siamo: quando il “fare” con cui ci siamo identificati cesserà, non sapremo riconoscerci e annasperemo nell’attesa di un secondo specchio, un nuovo modello esterno a noi, al quale affidare il viaggio della vita. Mindfuldance ® ci trasporta istantaneamente dalla dimensione del fare a quella dell’essere, pur rimanendo nel profilo di una eccellente preparazione tecnica ed espressiva.

 

Iniziamo chiedendoci: Cos’ è il corpo? E, ancor prima di chiederci cosa sia il corpo, domandiamoci: “Abbiamo un corpo oppure siamo il nostro corpo?”.

C’è una gran bella differenza tra avere un corpo, dunque identificare il nostro organismo come qualcosa di “esterno” a noi e alla nostra vera essenza, oppure “essere” esso stesso. Ci identifichiamo perfettamente con il corpo oppure lo sentiamo come altro da noi, un involucro in cui siamo “avvolti” e “custoditi”? Questo paradigma iniziale si rivela fondamentale nella percezione di noi e del modo in cui parliamo del corpo e, di conseguenza, di come ci relazioniamo a lui. Se scegliamo la seconda opzione, ossia se sentiamo di “avere” un corpo, facciamo bene a definirlo “nostro”, poiché quando definiamo qualcosa come bene di nostra appartenenza si tratta evidentemente di qualcosa che è altro da noi. Io ho una casa, una macchina e un corpo.

Personalmente insegno ai miei allievi che loro sono il loro corpo e che non c’è bisogno di mettere il pronome possessivo quando si parla del “proprio” corpo. In questo modo possiamo semplificare definendolo con “io” a inizio della frase. Semplicemente.

Io sono disallineato. Io sono veloce. Io sono alto. E così via.

In questo modo aiutiamo l’allievo a comprendere due concetti fondamentali: innanzitutto, se identifico il corpo come estraneo a me, come “altro” da me, vuol dire che quando ci sarà una difficoltà, un disagio, un limite, un incidente di percorso siamo “confortati” pensando che è lui che non obbedisce, è lui che si è rotto, è lui che non va bene, è lui che è sbagliato. Ci solleviamo da un gran numero di responsabilità e abbiamo qualcuno/qualcosa con cui prendercela.

Se mi identifico realmente con il mio corpo, posso esprimermi serenamente e più semplicemente -ad esempio- così: “sono poco flessibile” e non “il mio corpo è poco flessibile”. Dicendo “sono poco flessibile” allargherò immediatamente il dato della flessibilità non allo strumento corpo, ma a tutta la mia persona. Evidentemente anche la mia mente è poco “flessibile”. Questo mi offre un dato molto importante sull’intero sistema e non solo su “un pezzo” di me. Inoltre, mi indica che per ottenere i risultati che voglio in termini di flessibilità fisica, e con questo intendo che voglio raggiungere la massima espressione del mio potenziale interiore, senza accontentarmi, dovrò fare uno sforzo per lavorare sulla flessibilità della mia mente e non solo su quella del corpo. In questo modo porterò a compimento l’obiettivo integrando vari aspetti di me: il corpo esprime la sua rigidità nelle fasce muscolari e ciò sta ad indicare che -evidentemente- questo aspetto emerge nel mio quotidiano in termini di atteggiamento, relazione, approccio alle cose, modalità di pensiero. “Sembra quasi, infatti, che “Io” sia seduto sul mio corpo come se fossi un cavaliere sul suo cavallo. Lo batto e lo elogio, lo nutro, lo pulisco e lo curo quando è necessario. Lo sprono senza consultarlo e lo freno contro la sua volontà. Quando il mio corpo-cavallo si comporta bene, generalmente lo ignoro, ma quando diventa turbolento, il che capita molto spesso, estraggo la frusta per batterlo e riportarlo a una ragionevole sottomissione. […] Il corpo è ridotto dal sé a una proprietà, qualcosa di “mio” ma non “io”. Il corpo, in breve, diventa un oggetto o una proiezione, esattamente nello stesso modo in cui è successo per l’ombra”.

Alexander Lowen, padre della bioenergetica, dice che il nostro corpo è il nostro passato, poiché lui custodisce, spesso in forma di tensioni e blocchi, le emozioni che non siamo riusciti a lasciar andare, la nostra storia, le relazioni, i traumi che lo hanno determinato. “Il corpo modella la sua postura attorno all’energia che staziona e si muove nel corpo.” Dunque, quando lavoro con il corpo, non posso non tener conto di ciò che è stato, non solo da un punto di vista fisico, ma della mia storia personale. E se non individuo quei blocchi e le relative cause, non potrò fare passi avanti nel mio percorso umano e professionale. Il corpo racconta la nostra storia e spesso è una storia di difese, di blocchi, di nodi. “Mi piace pensare a questi nodi come a luoghi in cui noi “non ci siamo”, luoghi all’interno di noi stessi in cui non vogliamo andare o non riusciamo ad andare o, semplicemente, non andiamo e basta. Sciogliere i nodi significa trasformare un “no” cronico in un fluido “si” o, almeno, in una possibilità di scelta”.

Tutto questo influisce sul nostro modo di stare, di respirare, di muoverci.

Molto spesso mi chiedo come sia potuto accadere di lasciare fuori dalla sala di danza queste conoscenze che hanno radici profonde migliaia di anni. Come dice un grande Maestro, una volta che sappiamo, non si può più “non sapere”. In quanto formatori di una disciplina artistica, è necessario includere nelle lezioni tutte le dimensioni del nostro essere poiché tutte contribuiscono a renderci ciò che siamo. Il corpo è molto di più di una “macchina” al nostro servizio. Il corpo è un mistero. È quel ponte tra la realtà esterna e quella interna, tra ciò che vediamo e ciò che non vediamo, tra ciò che esiste e si vede e ciò che esiste ed è invisibile. Se sottraiamo al corpo questa sacralità ci illudiamo di poter disporre di qualcosa a nostro piacimento, ci illudiamo di avere un controllo su ciò che, a ben vedere, non ci appartiene del tutto. Siamo ospiti transitori.